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Education at a Glance 2012

Education at a Glance 2012

OECD Indicators

 

Nel mese di Settembre è stato pubblicato il rapporto OCSE “Education at a Glance 2012 (tradotto in italiano con Uno sguardo sull’istruzione). Come negli anni precedenti si tratta di un esteso studio, giunto in questo caso alla ventesima edizione, che fotografa lo stato dell’istruzione (strutture, risorse finanziarie, performance) nei 34 paesi aderenti all’organismo internazionale. Nel nostro paese il rapporto è passato quasi inosservato sia tra i dirigenti scolastici sia tra gli insegnanti, forse anche a causa del periodo di pubblicazione, in cui l’attenzione e l’interesse del personale della scuola sono concentrati altrove.

Rispetto alle edizioni passate, la nuova redazione risente della grave situazione di crisi economico - finanziaria in corso; molti dati vengono infatti letti ed analizzati alla luce della recessione globale degli anni 2009 e 2010 e, pur nella mole imponente del lavoro, diminuiscono gli accenni e i dati comparati riferiti agli investimenti sull’istruzione nei vari paesi, nessuno dei quali è rimasto immune da una diminuzione generalizzata delle risorse.

Il segretario generale dell'Ocse, Angel Gurria scrive tuttavia nella nota introduttiva: "I governi dovrebbero aumentare gli investimenti in programmi per l'infanzia e mantenere costi ragionevoli per l'istruzione superiore, al fine di ridurre le disuguaglianze, aumentare la mobilità sociale e migliorare le prospettive di occupazione delle persone". E, poco oltre, Gurria evidenzia come le persone con un livello di istruzione superiore riescano a gestire meglio i periodi di crisi, continuando a guadagnare di più rispetto ai lavoratori meno istruiti; anzi, con la crisi il divario tra gli istruiti e i meno istruiti è notevolmente aumentato. "Nel 2008 - osserva - un uomo con un'istruzione di livello universitario si poteva aspettare di guadagnare il 58% in più di uno con al massimo un'istruzione secondaria superiore; nel 2010 questo divario è aumentato al 67%". Il fatto di avere livelli di istruzione elevati è quindi per l’OECD, condizione imprescindibile per la resilienza del sistema economico e del mercato del lavoro anche di fronte ad un quadro di recessione generalizzata.

Il rapporto si snoda attraverso 4 capitoli (The output of Educational institutions and the impact of learning; Financial and Human Resources Invested in Education; Access to Education participation and progression; The Learning Environment and Organisation of Schools) che, uniti a 3 allegati accompagnati da interessanti dati statistici aggiuntivi, totalizzano circa 570 pagine, con 140 grafici, 230 tavole e 100.000 dati. Ad essi si accompagna un ulteriore contributo articolato con alcune “Country Notes” dedicate ad ogni paese. Focalizzeremo, molto brevemente, la nostra attenzione su queste pagine che richiamano molte situazioni ampiamente note e altre meno conosciute, rimandando ad un esame diretto del testo per le parti di maggiore interesse. Si tralasceranno così i riferimenti ad alcune questioni (ad esempio gli stipendi e l’orario di servizio dei docenti) che in queste ultime settimane, alla luce di quanto previsto all’art. 42 del DDL Stabilità, sono divenuti oggetto di serrato confronto e dibattito sulla stampa nazionale e su quella specializzata.

A giudizio dell’OECD gli elementi significativi riguardanti lo stato dell’istruzione nel nostro paese possono essere riassunti nei seguenti punti:

1.L’ingresso nel sistema Universitario e dell’istruzione superiore in Italia è aumentato, negli ultimi 10 anni, di dieci punti percentuali (dal 39% al 49%), ma i tassi di conseguimento dei titoli per la popolazione compresa tra i 25 e i 30 anni di età (20%) rimangono sotto la media OCSE (28%). Lo scarto, sia in termini assoluti che relativi è quindi ancora notevole. Una politica complessiva di orientamento e di valorizzazione del merito che resta improvvisata e lacunosa, l’inasprirsi dell’impegno economico per la frequenza e la persistente mancanza di sbocchi professionali ed economici adeguati (si veda il successivo punto 3) non permettono, almeno a medio termine, la riduzione di questo pesante gap.

2.C’è stato un incremento notevole della presenza femminile nell’istruzione superiore. Da questo punto di vista il nostro paese è sorprendentemente all’avanguardia, non solo per il numero di donne laureate sul totale della popolazione tra i 25 – 34 anni (25% contro il 16% degli uomini), ma anche per il numero di donne laureate in scienze e ambiti correlati (52%). Da notare, anche se il dato è del 2008, che l'Italia ha una delle percentuali più alte tra i paesi OCSE di qualifica di ricerca avanzata (dottorati) assegnata a donne (52%).

3.Oltre a rimarcare l’ovvia difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro, il rapporto fornisce dati comparati interessanti riguardo le retribuzioni in ingresso nel mondo lavorativo. Per i giovani laureati italiani (età 25 – 34 anni) la differenza retributiva con i coetanei diplomati è ridotta rispetto agli altri paesi (in media solo il 9% in più; nella media OCSE la differenza è molto più significativa, attestandosi sul 37%). Tale rapporto si capovolge per i lavoratori tra i 55 – 64 anni, ove i lavoratori con titolo di istruzione superiore guadagnano in media il 96% in più di coloro che hanno un diploma di istruzione secondaria. Si tratta di situazioni di forte squilibrio che destano preoccupazione, soprattutto per la difficoltà dei giovani laureati a trovare un lavoro adeguato al titolo di studio.

4.La spesa per l’istruzione: in Italia la spesa media annua per studente si attesta sulla media OCSE (poco più di 9.000 dollari annui). Le key notes evidenziano tuttavia un’asimmetria rispetto agli altri paesi. Nel nostro paese gli investimenti si dirigono prevalentemente sulla istruzione preprimaria e primaria; in queste fasce la media è superiore a quella degli altri paesi e ciò si traduce in tassi di iscrizione a questi segmenti di istruzione altissimi, oltre il 90%, per i bambini di tre e quattro anni, rispetto ad una media OCSE rispettivamente di 66% e 81%. Ma ad ogni livello successivo di istruzione la spesa per studente non aumenta. Per uno studente dell’ambito post secondario la media rimane vicina a quella di un bambino della scuola dell’infanzia, mentre quella degli altri paesi supera abbondantemente i 13.000 dollari. Alcune conseguenze relative a questo indirizzo degli investimenti si ritrovano nei punti successivi.

5.Il problema dei NEET. L’acronimo (Neither in Employment nor in Education and Training) è ormai diventato di dominio comune. In Italia tuttavia le sue dimensioni sono sempre più preoccupanti e, per di più, non si intravede alcuna inversione di tendenza. Uno sguardo ai dati in proposito è desolante: un giovane su quattro in Italia fa parte dei Neet e, tra le donne, solo il Messico e il Brasile si situano ai nostri livelli. Secondo una recente ricerca Eurofound, i giovani a spasso costano all’Italia 32 miliardi di Euro. Di certo il quadro non solo non è migliorato negli ultimi anni, ma si assiste ad un progressivo infoltirsi della schiera dei Neet, malgrado l’istituzione di ITS e IFTS, il moltiplicarsi delle esperienze di alternanza scuola – lavoro e la riforma dell’apprendistato. Ma i provvedimenti legislativi da soli non possono bastare. Peraltro, è da notare che il progressivo processo di centralizzazione che sta investendo il mondo scolastico, con la conseguente perdita di autonomia funzionale e soprattutto progettuale da parte delle istituzioni scolastiche, non aiuta certo l’individuazione di strategie ad hoc per abbattere il problema. Ci si chiede se norme e prassi emanati da governi con vocazione centralistica possano aiutare ad uscire da quest’impasse o se, piuttosto, rimettere alle scuole contenuti, tempi e modi dell’insegnamento non sia, una volta individuato l’obiettivo nazionale, la strada privilegiata da percorrere. Eppure, andando a rileggere l’Atto di indirizzo del Ministro della scorsa primavera, al di là di intenti tanto meritori quanto vaghi e generali, di questo problema si fa fatica a trovare traccia. Forse è arrivato il momento di valutare i risultati e non fermarsi ad intenzioni e procedure.

6.L’istruzione non è (più) fattore di mobilità sociale. Anche in questo caso i dati sono impietosi. Richiamiamo solo un dato: se si considerano i giovani tra i 25 e i 34 anni fuori dai percorsi di istruzione e formazione, solo il 9% di coloro che non hanno genitori diplomati ha ottenuto un diploma di istruzione secondaria superiore; la media OCSE è di oltre il doppio, il 20%. Il 44% di coloro i cui genitori non hanno completato il percorso di istruzione secondaria superiore ripete l’insuccesso genitoriale. Sussistono quindi “differenze profonde nelle opportunità dei giovani di frequentare l'università, a seconda del bagaglio d'istruzione”. La vera scommessa è allora quella di contrastare la profezia teorizzata da Pierre Bourdieu con il suo concetto di “ethos di classe”; le “differenze di cultura acquisite” forse non si riducono solo distribuendo tablet a tutti gli studenti.

Il sottosegretario Marco Rossi Doria ha commentato i dati EAG sul suo blog personale, facendo riferimento al romanzo “La tregua” di Primo Levi. Nel periodo di guerra, così come in quelli di crisi, per cercare il pane per mangiare, occorrono buone scarpe per poterlo andare a cercare. Resta beninteso aperta la questione di individuare quale paio di scarpe sia buono, ma anche di come utilizzare queste calzature. Education at a Glance fotografa una situazione e indica quali sono gli obiettivi più urgenti da raggiungere: si tratta ora di fornire al sistema di istruzione risorse certe e un sistema di valutazione su obiettivi assegnati e su risultati ottenuti.

 

Il documento completo e le Country notes (in inglese) sono disponibili sul sito web dell’OECD e sono anche consultabili, per una eventuale lettura più agevole, scomposta per indicatori, a questo indirizzo.

È altresì disponibile una breve sintesi in Italiano.